Ho voluto tradurre in italiano, rendendolo disponibile in free reading qui, un breve racconto, titolato 'Grace', pubblicato in inglese nel 2022 nella rivista Space and Time Magazine, e che verrà ristampato a breve (insieme alla mia poesia inedita 'Something in there') sempre in inglese, per l'editore Crystal Lake Publishing, nell'antologia 'Bestiary of Blood' a cura di Jamal Hodge, che include racconti e poesie di vari autori internazionali, tra i quali: Sarah Tantlinger, Michael Bailey, Lee Murray, Eugen Bacon, Marge Simon, Cindy O'Quinn, Christina Sng, Wrath James White, Linda D, Addison, Colleen Anderson, Angela Yuriko Smith, Max Gold e molti altri.
L'antologia richiedeva agli autori componimenti dedicati a specifici animali, per mettere assieme un 'bestiario' fantastico; io ho scelto il corvo, e questo racconto, dallo stile semi-classico, è un omaggio a Edgar Allan Poe. GRACE di Alessandro Manzetti Ancora qui, come un fossile dal cuore immobile e morbido sotto la dura scorza – la pelle di pietra – davanti a questa tomba. Te ne sei andata, Grace, troppo in fretta. Pelle bianca, dita sottili, capelli incollati al viso come inchiostro. Ali al posto delle braccia, rubini negli occhi. Così ti immagino, là sotto; integra, ma fredda. Ferma come un sasso, ma pronta a volare, se solo lo volessi. O forse lo stai facendo proprio adesso, e non dovrei puntare gli occhi a terra, tra ciuffi d’erba e fiori di ferro battuto, ma alzare lo sguardo per cercarti lassù. Un punto nero che ondeggia incerto tra uno stormo che forma cerchi immaginari, ellissi, occhi bizantini grandi come campi. Devi aver imparato a sfrecciare in tutti i vicoli del vento, col tuo cuore di animale che vede cose impossibili per gli uomini – transiti di un mondo di mezzo. Eppure non riesco a vederti. Ti conosco, sei sempre stata una solitaria; non danzeresti con altri uccelli. Lo hai fatto per me quella notte, come una étoile saldata a un carillon, senza un Lago dei Cigni alle spalle, senz’acqua e senza orchestra, senza voce… perché non c'era bisogno di parlare. Proprio come adesso. Pur sapendoti una creatura d’ombra, ti ho scelta comunque: là, davanti a quell'altare da cui spuntavano carnosi girasoli neri – le braccia impazienti dei morti in attesa sotto i nostri piedi. Ti ricordi quel giovane prete, il suo sguardo da bambino spaventato, le vesti improvvisamente sbiancate e dorate di sorpresa? Aveva più paura di noi, di ciò che avresti trovato sull’altra sponda, eppure era uno studioso di resurrezioni. Una sposa destinata a morire così presto suggerisce che i numeri, i giorni e gli anni non contano. E che forse il Grande Vecchio a volte si distrae. Bella e pallida come il tuo abito da sposa, con la schiena scoperta e una marea di latte attaccata al lungo strascico, attraversavi la navata come un fantasma, dipinta dai giochi di luce di quel rosone gotico, incastro di santi azzurri, rossi, verdi e gialli. Mio padre, un segno della croce al minuto, che cercava coraggio nelle tasche dei pantaloni. Quella donna, con la mappa di Bisanzio sulla pelle del viso, che aveva estratto dal petto una carta dei Tarocchi: un campo di battaglia, uno scheletro in armatura in groppa a uno stallone che cavalcava tra i sopravvissuti… che guardavano dall'altra parte, fingendo di non vedere. E poi eri apparsa tu, sposa con troppi globuli bianchi, avvolta in un tessuto di organza bianco zucchero, i tuoi passi su petali di margherite: un'alchimia di neve, di gelo in arrivo; tutto grazie ai trucchi di Madame Leucemia, che sguscia e succhia ostriche di midollo e cervello – pasti crudi. Avresti voluto essere sepolta quel giorno stesso, sposa per sempre, anche se ora il tuo sangue avvelenato non ti scorre più dentro; è tatuato sulla pelle, macchie viola come ricchi mandala pronti a svanire. Così ti immagino, là sotto; le mani giunte sul petto, topazi sulle dita che confondono i vermi e tutto ciò che striscia, in quel buio. Continuo a guardare il cielo, a contare gli uccelli. Le persone mi guardano incuriosite, e poi fanno lo stesso. In un cimitero, dove parlano solo fontane e ricordi, nessuno guarda mai la grande cupola azzurra che è uguale ovunque, da Avignone a Calcutta, da Tahiti a Gerusalemme. A meno che non sia notte, con tutte le diverse e intricate geometrie delle stelle. Pensano sia pazzo, certo. Non c'è nessuna colonna di fuoco, o un aereo in picchiata… niente di nuovo lassù, e così spostano di nuovo gli occhi al suolo, sul terriccio umido che custodisce i gusci ritorti dei loro cari. Si sbagliano. Un puntino nero, lì a est, si stacca dallo stormo che si ammassa in forme simili a gabbie, come le ossa di una balena immaginaria. Volando velocemente, quel punto diventa sempre più grande contro il cielo; lo misuro con indice e pollice, millimetri che si fanno centimetri. Sta venendo verso di me, potrei giurarci. Sei tu, Grace? Ma poi, all'ultimo momento, viri verso le cime dei tre cipressi che si innalzano come lame seghettate sopra la vecchia casa appena fuori dal cimitero. Non posso sbagliarmi, ho sentito il tuo profumo speciale e all'improvviso mi sono voltato, sicuro di trovarti davanti a me. A piedi nudi, vestita con l'abito da sposa, la bianca organza mutata in tono di miele, le ali al posto delle braccia e i morsi rossi di Madame Leucemia sul collo, scarlatti come pesche troppo mature; proprio come continuo a immaginarti in questi giorni d’estate. Ma la mente gioca strani scherzi, con troppi ricordi morti inchiodati al presente. In effetti, non c'è niente vicino a me, solo la mia strana ombra, che allarga le braccia nere come se volesse prendere il volo. Sembro una croce. Non scorgo più quell’uccello nero, ma so dove si è nascosto: tra quei tre giganteschi coltelli verdi. Corro in quella direzione, e il tuo profumo cresce a ogni passo, mescolandosi all'incenso, riportandomi per un attimo nella navata di quella chiesa, quel giorno. Ma adesso Grace mi sta aspettando, piumata e vera, di fronte a un nuovo altare; le finestre della vecchia casa si pitturano di arancione, poi di rosso e viola – un rosone diverso, architettato dal tramonto. Il cimitero sta chiudendo, questa volta senza santi con cerchi d'oro intorno alla testa e nessun prete spaventato. Raggiungo la porta col cuore quasi schiantato, i sensi come zampe di ragno all’erta. La casa è disabitata da tempo, le pareti ricoperte dalle fitte venature di una presuntuosa edera. È come un sogno di Van Gogh: le persiane granata spagnole, un sottile cortile di ciottoli bianchi e grigi su cui le ombre dei cipressi tracciano strisce scure, animando le colonne di quella chiesa di Boston dove ho sposato una donna e la morte, entrambe nello stesso tempo, un bacio e uno squarcio. Nelle narici l'odore del legno intarsiato, soffiato dal coro della piccola cappella… poi l'aroma antico della cera, delle candele incerte. Sono tornato indietro nel tempo, anche se adesso tutto ha forma diversa. Mi inginocchio vicino ad una piccola fontana sormontata dalla statua di un tritone senza testa. C’è ancora acqua dentro, immergo le dita e mi faccio il segno della croce, sperando che qualcuno apra la porta scolorita della vecchia casa. Sei lì dentro, Grace? Un fruscio d'ali veloci; una macchia nera che catturo per un pelo con la coda dell'occhio. Un corvo si posa sulla mia spalla, resto immobile mentre quello volta la testa a destra e sinistra, scatti d’ansia. Due rubini negli occhi, quell'aroma di narciso e vaniglia, dita invisibili che pizzicano le corde delle mie costole, quei gesti che facevi dopo aver fatto l'amore, nuda, sempre pallida come una dea – suonarmi come uno strumento che sussulta flutti di Rachmaninov. Sei tu, Grace, vero? Dimmelo. Il corvo torce il collo, scatta e mi affonda il becco nelle orbite, prima una e poi l'altra, in una sequenza deliberata. Non pensavo che il mio sangue fosse così caldo, lo sento gocciolare lungo le guance e il collo. Tutto diventa buio, inclusa l’estate che mi ingloba, poi qualche spiraglio rosso si accende, mostrandomi un sipario strappato… la platea terrestre e il palco di cose infinite, ma non sento dolore, perché il profumo di lei mi avvolge ancora, come una corazza macedone. È come aver ingoiato chili di topazi e vecchi ricordi, riempiendo finalmente quel buco nello stomaco. Hai ragione, Grace, come sempre. L'amore si percepisce – è un mantra di cose invisibili – non deve essere visto, facendo sgretolare l’incanto. Hai fatto bene a prenderti i miei stupidi occhi.
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